Recupero sciami – L’ aspira sciami modulare

Chi effettua interventi di recupero sciami può talvolta imbattersi in colonie insediate da tempo in un determinato luogo, tanto sviluppate da rendere impossibile l’uso dell’aspira sciami classico a causa delle loro dimensioni.
In questi casi, è necessario disporre di un aspira sciami molto più capiente, che consenta anche lo sfarfallamento delle uova deposte dall’ape regina nei favi recuperati, ormai scuri e di grandi dimensioni.

Nel 2001, mi sono messo alla ricerca sul web per costruire qualcosa che potesse aiutarmi in questo tipo di recuperi. Non ho trovato nulla di realmente utile, solo molte ispirazioni e idee.
L’obiettivo era creare un sistema che offrisse spazio per aspirare le api e per inserire i favi tagliati. Da lì è nato il primo prototipo, tuttora funzionante e operativo, realizzato interamente con materiale riciclato.

Struttura dell’aspira sciami

Piano terra – La camera di depressione

Con due melari vecchi e danneggiati, ho rimosso i distanziatori da 9 favi e li ho uniti usando spine in faggio. Ho poi applicato nella parte superiore un nuovo distanziatore da 10 e fissato un pannello alla base. Su una parete ho praticato un foro del diametro del tubo di aspirazione.
In questo modo ho creato la camera di depressione, dove inserisco esclusivamente telai con fogli cerei.

Primo piano – La rete

Ho realizzato un parallelepipedo con una rete estraibile. Sopra la rete è presente un foro per il bocchettone collegato al motore di aspirazione.
La rete ha una doppia funzione: distribuire il flusso dell’aria aspirata e proteggere le api dalla corrente d’aria diretta.

Terzo piano – Il tappo

È un semplice pannello che chiude ermeticamente la camera di depressione e funge anche da piano d’appoggio per lo scomparto superiore.

Quarto piano – Lo scomparto dei favi recuperati

Utilizzando altri due melari riciclati, dotati di distanziatori da 10 e con distanziatore da 10 e spinati tra loro, ho realizzato il vano dove inserisco i favi tagliati.
I favi vengono adattati alle dimensioni dei telai senza filo e fissati con elastici verdi misura 70.
Grazie alla struttura “a grattacielo” dell’aspiratore, questo piano si trova a un’altezza di lavoro comoda ed è quello che si utilizza maggiormente durante l’intervento. Deve quindi essere pratico, sicuro e funzionale.

 

Il motore di aspirazione

A causa della linguetta della rete, non è possibile chiudere completamente la camera di depressione. Inoltre, la lunghezza del tubo, maggiorata e il peso complessivo dell’aspira sciami impongono che venga appoggiato a terra. Le curve del tubo aspiralato riducono notevolmente la forza aspirante del motore.
Per compensare, ho scelto un motore molto più potente rispetto a quelli impiegati negli aspira sciami tradizionali: un motore a turbina con forza di aspirazione di 25 kPa.
È importante precisare che la normativa italiana non obbliga i produttori a indicarne la forza di aspirazione (in kPa o Air Watt), ma solo la potenza in Watt. Tuttavia, un alto wattaggio non corrisponde necessariamente a una maggiore forza aspirante, che dipende invece dalla progettazione e meccanica del motore. Pochi produttori riportano questi dati volontariamente.

Fine dell’intervento

Una volta concluse le operazioni di aspirazione e rimozione dei favi, ho constatato che trasferire immediatamente le api è controproducente, specialmente in interventi lunghi (4-6 ore).
Non è consigliabile operare da soli, data la presenza di favi pieni di miele e il tempo necessario per inserirli nei telai con gli elastici.

La soluzione più efficiente è lavorare in coppia: uno aspira e taglia, l’altro aiuta e fissa i favi nei telai. In questo modo il lavoro procede con continuità.
Consiglio sempre di rimuovere i favi di miele per ultimi, la rimozione causa perdite di miele che si accumulano nel piano sottostante, creando un lago di miele dove le api che cadendo non riescono a liberarsi e morirebbero nel loro stesso cibo.

I favi di miele tagliati, una volta rimossi, vengono posizionati in un copri favo aggiuntivo da posizionare sopra il quarto piano.

L’attesa

Dopo l’aspirazione, rimuovo la rete facendola scorrere verso l’esterno e attendo 24-48 ore.
Durante questo periodo, le api risalgono dai fogli cerei della parte inferiore verso i piani superiori dove è presente la covata. Hanno così il tempo di pulirla, nutrirla e sistemarla.
Le api ceraiole iniziano anche a fissare i favi tagliati ai telai, grazie al miele lasciato nel copri favo.
Trascorso il tempo necessario, è sufficiente separare l’aspiratore all’altezza del tappo e prepararlo per il trasporto, preferibilmente dopo il tramonto, quando le temperature sono più basse e tutte le api sono rientrate.

 

Conclusioni

L’aspira sciami necessita ancora di alcune migliorie: il peso ostacola il trasporto e la manovrabilità; l’uso di vecchi melari deformati può compromettere l’ermeticità e la forza di aspirazione. Anche il carrello della rete andrebbe perfezionato, trovando un sistema di chiusura più efficace.
Mi piace però la sua altezza: essendo impilabile, rende il lavoro molto comodo. Dopo l’inserimento dei primi 2-3 telai, si crea anche un piano d’appoggio utile per coltelli, torce o altri strumenti necessari durante il recupero.

Alessandro Lascar

La smielatura: il risultato di tanto impegno

Eccoci finalmente giunti al momento di raccogliere i frutti della nostra collaborazione con le api e la natura: il periodo della smielatura.

La fase che, se tutto è andato per il meglio, può darci grandi soddisfazioni e ripagarci delle cure e dell’impegno che abbiamo riposto verso le nostre api.

La prima cosa da fare è verificare che i melari che abbiamo dato agli alveari siano stati riempiti di miele ed opercolati per almeno il settanta/ottanta percento.

Questo fa si che con buona probabilità il miele abbia un grado di umidità intorno ai valori considerati “di sicurezza” ovvero intorno al 18%.

 

Per averne certezza è bene procurarsi un rifrattometro da miele (detto anche mielometro) che ci dirà con precisione il valore esatto; preferibili quelli a prisma anziché quelli digitali perché questi ultimi tendono a stararsi.

Appurato il livello di umidità, che dovrà essere riconfermato anche nel locale di smielatura, dobbiamo far uscire le api dal melario e lo si fa inserendo gli apiscampo fra l’arnia ed il melario stesso (ricordatevi di non metterli a contatto con gli escludiregina, che sono pressoché obbligatori per evitare che la regina salga a melario).

 

Trascorse 24/48 ore a seconda della diversa tipologia di apiscampo, è il momento di portare a casa i nostri melari.

Nel caso volessimo comunque smielare ma non avessimo tutti i telaini pieni, potremmo portarci a casa solamente quelli sufficientemente opercolati spazzolando via le api che vi sono sopra e ricordandosi di mettere nuovi telaini nel melario affichè non resti mai con spazi liberi.

Ricordiamoci che il fumo va usato sempre il meno possibile per non rischiare di contaminare il miele.

Giunti a questo punto possiamo decidere se proseguire in prima persona con tutte le fasi o se portare i melari ancora opercolati ad aziende o consorzi che si occupano di tutto il processo.

In quest’ultimo caso ci verrà fornito direttamente il prodotto finale, ma a noi piace immaginare di volersi sporcare le mani, quindi proseguiamo con le altre fasi.

Lo spazio scelto per la smielatura dovrà essere fornito di acqua corrente e dovrà essere organizzato in modo da avere superfici ben pulite e disinfettate.

Se non abbiamo la strumentazione dedicata, come ad esempio un banco per smielatura seppur semplice e meno costoso di quelli professionali, teniamo a portata di mano alcuni strumenti da cucina come leccapentole, insalatiere, pentole… insomma qualche attrezzo per raccogliere miele e cera, oltre che alcuni secchi per alimenti nel caso la vostra produzione sia abbondante (ne esistono di appositi per miele che hanno volumetrie standard).

Chiudete le finestre del locale anche con zanzariere per evitare di attirare eserciti di api e, se ne avete modo, accendete un deumidificatore da ambienti e magari anche un ventilatore per smuovere un po’ l’aria della stanza.

Entrando nel vivo la prima fase è la disopercolatura, ovvero la rimozione del tappo di cera che protegge il miele nelle cellette. Questa potrà essere fatta con dei coltelli appositi e con la forchetta disopercolatrice. Spesso è una fase lunga e richiede delle attenzioni in più per “stappare” tutte le cellette, ma con un buon sottofondo musicale la si supera con facilità.

Ricordiamoci che imbratteremo tutto di miele, quindi utilizzate le insalatiere, le pentole o le scatole per gli impasti da pizza, così raccoglierete la cera ed il miele che vi cadranno all’interno, riducendo al massimo gli sprechi.

La cera che raccoglierete sarà cera di opercolo, cera purissima; a fine operazione mettetela tutta a scolare dentro un colino, anche a maglie larghe, così recupererete del miele e potrete usarla per le candele o farla lavorare da terzi per avere in cambio i fogli cerei.

smielatura

Il passo successivo è la smielatura vera e propria. Questa la si fa mettendo i telaini già disopercolati dentro lo smielatore, la centrifuga apposita, che grazie alla rotazione farà uscire tutto il miele dalle cellette.

Ne esistono di manuali e di motorizzati, chiaramente i prezzi variano e le dimensioni, e quindi il numero di telaini che possono contenere, pure. Un buon compromesso per iniziare è uno smielatore manuale da 9 telaini, meglio se con possibilità di motorizzazione, così in futuro sarà più facile gestire numeri maggiori di melari… speriamo!

Non abbiate la pretesa di raggiungere manualmente le velocità di rotazione di uno smielatore motorizzato, queste si aggirano intorno ai 400 giri al minuto, difficilmente raggiungibili da noi esseri umani.

Ricordiamoci inoltre di non far salire troppo il livello del miele sul fondo perché oltre a bloccare i telaini nella rotazione, questo può venire a contatto con le parti mobili lubrificate con del grasso andando a compromettere la nostra amata produzione.

A mano a mano che il nostro miele uscirà dallo smielatore lo raccogliamo in un contenitore per alimenti e lo filtriamo con uno o più filtri a maglie sempre più fini (in genere ne bastano due), per farlo scolare nel nostro maturatore (decantatore), che può anche essere un secchio apposito in caso di piccole quantità.

In questo modo avremmo rimosso tutti i detriti, cera per la maggior parte, e reso il nostro miele più pulito possibile.
La fase della filtrazione spesso è quella che rallenta tutto il processo perché via via che i filtri fanno il loro lavoro raccolgono particelle solide che tapperanno le maglie; la vostra pazienza vi sarà grata se riuscirete ad avere a disposizione un doppione dei filtri così da poterli sostituire e pulire mentre gli altri stanno lavorando.

Una volta filtrato, il miele dovrà decantare nel maturatore, ben chiuso e conservato in una stanza asciutta e fresca, per un periodo che solitamente si aggira intorno ai dieci/quindici giorni, così da permettere alle particelle rimaste e alle bolle d’aria di salire in superficie essendo più leggere.

Questa schiuma superficiale potrà essere raccolta e mangiata tranquillamente, ci sarà solo un po’ di cera ma principalmente è un’emulsione di miele e aria che qualcuno apprezza molto…

L’ultima fase della smielatura è l’invasettamento. La dimensione dei vasetti la decidete voi in base a gusti ed esigenze; quelli in vendita preso i negozi specializzati non hanno necessità di essere lavati o sterilizzati, possono essere usati così come sono purché prestiamo attenzione nel maneggiarli.

Questo è il momento nel quale stiamo pianificando i vari regali di Natale e immaginando i sorrisi dei nostri amici e parenti nel ricevere il frutto dei nostri sforzi e della vita delle api. Un momento impagabile che ci regalerà un prodotto unico e irripetibile, oltre ad una grande soddisfazione per il risultato raggiunto.

Ma dei telaini sporchi di miele cosa ce ne facciamo?
Sarà impossibile togliere tutto il miele dai telai, ne rimarrà sempre un velo sottilissimo adeso alle pareti di cera. Rimettiamo i telaini nei melari e riportiamoli dalle api, ci penseranno loro in pochissimo tempo a ripulire completamente tutto il miele presente e ci faranno trovare i melari pronti a nuove produzioni.

Luca Baldini

Come recuperare uno sciami d’api

Il recupero degli sciami d’api è un’attività cruciale per garantire la sopravvivenza delle api e per evitare che diventino un pericolo in ambienti urbani o residenziali.

Ogni anno, migliaia di sciami d’api lasciano le loro colonie originali per creare nuove famiglie. Per gli apicoltori, questo fenomeno, conosciuto come sciamatura, è una possibilità per espandere il proprio apiario. Tuttavia, per i non esperti, può essere un evento complesso, da gestire con attenzione.

In questo articolo esploreremo come riconoscere e recuperare uno sciame d’api, le tecniche e gli strumenti, con un focus speciale sugli aspiratori per sciami d’api, uno strumento necessario nelle situazioni più complesse dove non è possibile raggiungere fisicamente le api.

Cos’è uno Sciame d’Api e Perché è Importante Recuperarlo?

Uno sciame si forma quando una colonia di api decide di dividere la sua popolazione. Generalmente, una parte delle api lascia l’alveare principale per creare una nuova colonia. Questo fenomeno avviene di solito in primavera o all’inizio dell’estate, quando il numero di api è elevato e le condizioni climatiche sono favorevoli.

Se non recuperato tempestivamente, uno sciame d’api potrà spostarsi e fare il nido in luoghi inaccessibili o pericolosi, come sotto il tetto di una casa, all’interno di centraline elettriche o in altri spazi ristretti e costituirà un nido completo di favi rendendo il recupero ancor più difficoltoso. Inoltre, uno sciame abbandonato o mal gestito potrebbe essere vulnerabile a predatori o malattie mettendo a rischio la salute delle colonie vicine.

Come Recuperare uno Sciame d’Api: Tecniche e Strumenti

Oltre alla classica attrezzatura impiegata per le visite in apiario (tuta, leva, guanti, affumicatore, ecc…), durante il periodo di sciamatura è sempre opportuno avere con sé la seguente attrezzatura per recuperare sciami:

  • Portasciami: poco ingombrate, areato e leggero (specie se in polistirolo), il portasciame rappresenta la più ovvia collocazione per lo sciame. Attenzione che possiamo trovare sciami di notevoli dimensioni che difficilmente entreranno in un’arnietta da 6 telaini.
  • Spazzola da apicoltore: utile per rimuovere delicatamente le api dalle superfici
  • Spruzzino con acqua: alcuni apicoltori per inumidire lo sciame e renderlo meno propenso a volare
  • Forbici da pota, seghetto, scalpello o leva (utile se lo sciame si è posato in una fessura o su una struttura)
  • Telaini incerati: da aggiungere delicatamente nel portasciami una volta introdotte le api.
  • Favo costruito o telaino con uova o covata di pochi giorni: se disponibili, facilitano l’ingresso delle api dentro il portasciami.
  • Secchio con coperchio forato o scatola di cartone: se si prevede di raccogliere lo sciame prima di trasferirlo nell’arnia).
  • Retino, telo bianco, o ombrellone: da posizionare sotto lo sciame in altezza per facilitarne il recupero in caso di caduta.
  • Scala: per recuperare sciami in altezza.
  • Elastici e fascette: per recuperare e ancorare ai telaini i favi naturali nel caso la colonia abbia iniziato a costruire.
  • Feromone di Nasonov sintetico: (per attirare lo sciame nella cassa)

Il recupero più facile e veloce

Qualsiasi sciame attaccato ad un ramo di un albero entro i 2 metri, è un po’ come aver vinto prima di iniziare la partita.

Basterà soltanto poggiarlo o scuoterlo all’interno di un’arnia vuota, un portasciami in legno o in polistirolo e il gioco è fatto.

Come un frutto ben maturo, se scosso cadrà all’ interno. Si attenderà cosi che tutte le api siano scese e si potrà quindi chiudere e trasportare il tutto in un luogo più sicuro.

 Uso dell’Aspiratore per Sciami d’Api

L’aspiratore per sciami d’api è uno degli strumenti più innovativi per raccogliere le api in modo rapido. Si tratta di un dispositivo che utilizza un flusso d’aria regolabile per aspirare le api da un’area, senza danneggiarle.

Gli aspiratori sono ideali per sciami e nidi che si trovano in posti difficili da raggiungere: come altezza, fessure o spazi stretti. In questi casi, l’aspirazione permette di raccogliere le api senza rompere o danneggiare le strutture.

Va però considerato che il suo uso tramortisce molto le apie se usato in modo frettoloso o con mano poco esperta può danneggiarle e causarne la morte..

Si consiglia pertanto l’uso di questi apparecchi con molta parsimonia e molta attenzione.

In Europa, non ci sono aziende specializzate come in America nella fabbricazione e nella vendita di tali apparecchi. Pertanto ogni apicoltore a cui piace effettuare i recuperi li costruisce, secondo le proprie conoscenze e abilità, usando spesso materiale di riciclo, come vecchie aspirapolveri, e pezzi di tubi; i più esperti sono tutti concordi chele seguenti componenti non devono mancare:

  • Variatore del flusso d’aria
  • Tubo spiralato con diametro > 35 mm

La posizione dell’aspirazione all’ interno dell’arnietta non sembra essere rilevante. La tendenza è comunque di posizionarla nella parte superiore, si presume principalmente per una questione di praticità o perché si pensa di favorire l la salita delle api sui telaini, sfruttando la corrente d’aria.

Vantaggi dell’Aspiratore:

Velocità ed Efficienza: Il recupero con aspiratore è molto più rapido rispetto a metodi tradizionali, poiché permette di aspirare un gran numero di api in poco tempo.

Praticità: Questi strumenti sono facili da manovrare, anche per chi non ha molta esperienza.

Adatto per Ambienti Urbanizzati: In situazioni urbane o in ambienti ad alto traffico, l’aspiratore permette di raccogliere le api senza rischiare di intralciare il passaggio delle persone o creare panico.

Svantaggi:

Montaggio: in alcuni modelli il montaggio può risultare lungo

Carico e scarico: Da considerare che si necessità di molti pezzi che andranno collegati tra loro e quindi piu’ viaggi per scaricare tutto il materiale dal mezzo

Volume: il materiale, il portasciame, l’aspiratore non sono oggetti impilabili, pertanto il trasporto può risultare difficile.

Elettricità: Necessità di corrente elettrica continua o alternata per funzionare

Foto di Juri Giannerini

Foto di Alessandro Lascar

Foto di Apicoltura Lascar – motore 220 v / 12v costruito con nr.2 ventole abitacolo per auto

Tecniche Tradizionali di Recupero degli Sciami

Se non si dispone di un aspiratore, è possibile adottare metodi più tradizionali. Questi includono l’utilizzo di contenitori o scatole da posizionare in prossimità dello sciame, mentre le api vengono attirate nel contenitore con l’aiuto di spazzola, fumo, feromoni naturali o semplicemente favorendo il movimento delle api stesse.

Posizionare una scatola o un contenitore (si consiglia sempre l’uso del portasciami), sotto lo sciame può aiutare a raccogliere le api in modo delicato. Dopo che lo sciame si è sistemato nella scatola, lo si può trasferire tempestivamente in un nuovo alveare.

Uso di una Cestelli (un cestello?), scala o trabattello: In caso di sciami ad alta quota, si possono utilizzare scale o pertiche per raggiungere il gruppo di api. È importante agire con calma e attenzione per non spaventare le api e farle volare via. Per facilitare l’entrata delle api nel portasciami è opportuno lasciarlo in alto in modo da ridurre le possibilità che le api tornino nel punto in cui si erano posate.

Sicurezza e Prevenzione

La sicurezza è fondamentale quando si recuperano sciami d’api, sia per le persone che per gli animali. È sempre consigliato indossare abbigliamento protettivo, come tute da apicoltore, guanti, e cappelli con rete per proteggere il viso dalle punture.

Inoltre, è importante utilizzare strumenti in buono stato e rispettare le pratiche di sicurezza per evitare danni alle api durante il recupero.

Conclusioni

Il recupero degli sciami d’api è una parte essenziale dell’apicoltura responsabile e una pratica utile per la conservazione delle api.

Il recupero, specie se tempestivo, oltre a proteggere le colonie, aiuta a prevenire danni a proprietà o persone, evitando diverbi con i vicini e limita soprattutto la diffusione di malattie ad altre famiglie.

Nel prossimo mese appuntamento:

Come recuperare un enorme nido naturale con favi di cera?

Alessandro Lascar

Monitoraggio varroa Foretica – perché è importante

Siamo a giugno e già dai primi mesi dell’anno stiamo avendo segnalazioni da parte dei soci di infestazioni di varroa superiori al normale. Questa situazione probabilmente è legata al passato inverno estremamente mite che ha permesso la sopravvivenza anche di colonie molto infestate che normalmente muoiono senza traghettare la varroa nella nuova stagione.

A giugno è strategico monitorare l’infestazione della varroa per organizzare le prossime tappe dell’allevamento delle api nella maniera migliore: potremo individuare quali apiari spostare, quali togliere dalla produzione e decidere la tempistica e il tipo di trattamenti da effettuare.

 

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Di seguito pubblichiamo unnostro video su come monitorare la varroa.

Sapendo quale sia il carico di varroa nei diversi apiari o apiario singolo si potrà valutare quando si renderà necessario effettuare il trattamento.

Potremo sapere se un apiario potrà rimanere in produzione fino alle melate estive, oppure dovremo trattare prima, e potremo scegliere in maniera razionale da quali apiari cominciare con i primi trattamenti.

Questo monitoraggio è molto utile per l’azienda per i motivi suddetti e, se fatto entro giugno, ci permette di valutare l’efficacia dei trattamenti invernali, che lasciano ancora una impronta importante sull’infestazione attuale al netto della pur presente reinfestazione.

Per comprendere a quali soglie far riferimento possiamo riassumere col fatto che la soglia epidemica del virus delle ali deformi, oltre la quale inizia ad esserci un danno per la famiglia, è attorno alle 5 varroe/100 api (Sumpter e Martin, 2004). A questa soglia d’infestazione di varroa il virus aumenta la replicazione e velocemente danneggia la famiglia.

 

Poiché non è normalmente possibile campionare tutti gli alveari di un apiario, un buon compromesso è adottare una soglia di intervento basata sulla media di apiario stimata su almeno 8 alveari, numero che risulta sufficientemente significativo.

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È opportuno trattare al massimo entro un mese quando la media di apiario raggiunge il 2% (R. Oliver, com. pers.). Con valori del 5% è necessario un trattamento immediato sacrificando eventuali produzioni per limitare i danni agli alveari e in ogni caso potremo avere comunque risultati incerti. Inoltre una considerazione andrà fatta anche sulla velocità acaricida del presidio e tecnica di trattamento impiegati; tanto più il trattamento agirà lentamente tanto più dovremo anticipare i tempi d’intervento.

Questi monitoraggi e i risultati ottenuti sono utili per l’azienda in primis ma la loro condivisione permette di comprendere meglio in modo più preciso e significativo se un trattamento o una tecnica di contrasto alla varroa risultano migliori di altri, quindi più dati ci sono più la valutazione del trattamento sarà corretta.

Come negli ultimi anni supportiamo il progetto di monitoraggio della varroa foretica portato avanti dal CRT Centro tecnico di riferimento per l’apicoltura-Patologie apistiche.

I dati richiesti per la finestra di giugno sono tutti quelli riguardanti monitoraggi effettuati durante tutto il mese di giugno, in apiari che permettano campionare da un minimo di 8 alveari ad un massimo di 10.
Per chiunque volesse collaborare al monitoraggio in collaborazione col CRT può effettuare i monitoraggi e condividere i risultati su uno specifico portale che aprirà per la compilazione e registrazione dei dati nella seconda metà di giugno.

Provvederemo a comunicarvi il link nel momento dell’apertura.

Per chi volesse collaborare condividendo propri dati di infestazione ma non riesce o vuole a registrarsi può contattarci per mail a info@arpat.info, inviando i dati che provvederemo noi ad inserire. Al prossimo incontro di tecnici in diretta di mercoledì 19 giugno vi comunicheremo gli ultimi aggiornamenti sui risultati dei monitoraggi 2023 su quali trattamenti sono risultati più efficaci e quali meno.

Giovanni Cecchi

Replichiamo! Alla scoperta dell’idromele – segreti e curiosità sul nettare degli dei

Dopo il successo dello scorso febbraio replichiamo la nostra serata di degustazione di Idomele domenica 26 maggio alle 17:00 sempre presso la biblioteca delle Oblate.

Insieme ad un team composto da tecnici apistici e sommelier, proponiamo una degustazione guidata di idromeli selezionati suggerendo peculiarità ed abbinamenti.

L’incontro è gratuito e aperto a tutti su prenotazione fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Per informazioni e prenotazioni contattare la Biblioteca al numero 0552616512 o all’indirizzo bibliotecadelleoblate@comune.fi.it

Polline: come produrlo e commercializzarlo

Lo scorso 23 marzo, abbiamo chiesto a Luca Campagnari di tenere un corso sulla produzione e la commercializzazione del polline, data la sua esperienza decennale come tecnico apistico e produttore di polline biologico nell’azienda di famiglia.

Il primo aspetto che Campagnari ha illustrato è l’importanza del polline nell’allevamento delle api, la cui comprensione è fondamentale per mettere in atto pratiche sostenibili di produzione.

Il polline è la fonte proteica dell’alveare, un alimento completo che contiene tutti gli aminoacidi indispensabili per il corretto sviluppo dell’organismo ed è inoltre la materia prima per la produzione della pappa reale.

Una maggiore biodiversità di piante pollinifere e dunque una maggiore varietà dei pollini, garantisce un apporto equilibrato di sostanze nutritive e una migliore salute dell’alveare.

Per produrre polline è importante conoscere il proprio territorio, sia per quanto riguarda la distribuzione delle specie pollinifere, sia per quanto riguarda la presenza di coltivazioni intensive trattate con pesticidi che possono essere fonte di contaminazioni. È fortemente consigliato l’autocontrollo tramite analisi multiresiduali sui lotti di produzione opportunamente identificati per garantire la tracciabilità.

Per produrre polline servono apiari situati in zone a basso rischio di contaminazione e famiglie il più possibile uniformi, forti e sane.

La raccolta del polline avviene attraverso delle apposite trappole che si collocano all’ingresso dell’alveare. Sebbene sul mercato ne esistano svariati modelli, il funzionamento è lo stesso per tutte: l’ape, passando attraverso una griglia con piccoli fori calibrati, perde la cestella di polline attaccata alle zampe posteriori. La cestella ha la forma di una piccola pallina del diametro di 1-2 mm che, una volta staccatasi, cade verso il basso ed attraversa una lamiera forata andando a finire in un cassettino sottostante composto da una rete a maglia stretta tale da consentire una buona circolazione di aria.
Le trappole vanno posizionate solo quando gli alveari sono totalmente sviluppati e non necessitano più di grandi quantità di polline. Una colonia ben popolata con tutti i telaini da nido coperti di api, con melario già posato e ben presidiato è allo stadio ideale per il posizionamento della trappola.

Le trappole vanno posizionate tutte nello stesso momento per evitare fenomeni di deriva, al mattino presto o la sera tardi, in corrispondenza della fioritura pollinifera che si intende sfruttare ed evitando i momenti di forte importazione di nettare.

Ma quale trappola scegliere? Chi vuole produrre polline dovrà necessariamente porsi questa domanda valutando vantaggi e svantaggi delle principali trappole in commercio (trappole da fondo e trappole frontali).
La trappola frontale è senz’altro la più diffusa e ha il vantaggio di ottenere un prodotto più pulito rispetto a quella da fondo, ma necessita di un maggior controllo delle scorte di polline presenti nell’alveare e non può essere lasciata troppo a lungo. Questa tipologia di trappole prevede 2 versioni:

Trappole basse, che si agganciano direttamente sulle guide di scorrimento della porta d’ingresso appoggiandosi sulla parte del fondo che sporge oltre alla cassa. Se compatibili con il modello di arnia possono essere installate comodamente senza apporre modifiche. Lo svantaggio di questa versione consiste nel cestello di raccolta che risulta molto basso e quindi più esposto all’umidità. Inoltre, come la trappola da fondo, è necessario controllare l’altezza della vegetazione sottostante l’arnia che potrebbe venir a contatto del cassettino e compromettere l’umidità del polline oltre a sporcarlo.

Trappola ad attacco alto: si avvita sulla parete frontale dell’arnia dopo aver effettuato dei fori di ingresso. Prima dell’istallazione occorre abituare le api ad entrare nell’arnia dai fori alti, pertanto si consiglia di apporre i fori alti di ingresso lasciando aperto il passaggio basso tradizionale per uno due giorni. Successivamente andrà chiusa l’entrata tradizionale per far abituare le api ad entrare solo dall’alto e infine si posizionerà la trappola. Alcuni modelli permettono di alzare la griglia di ingresso per abituare le api alla presenza della trappola senza ostacolare il passaggio. Una volta abituate si può abbassare la griglia e farle così attraversare dai fori stretti.

Il polline va raccolto al massimo ogni 2-3 giorni (meglio alla sera prima dell’umidità notturna) o il prima possibile in caso di pioggia, che può compromettere il prodotto raccolto.

La quantità e la dimensione del polline raccolto mi darà molte informazioni, sia sullo stato di salute degli alveari, sia sullo stato della fioritura, e potrà anche indicarmi quando è l’ora di togliere la trappola.

Il polline chiuso in contenitori ermetici e pulito grossolanamente, dovrà essere portato il prima possibile in congelatore a -18°C e conservato fino alle fasi di lavorazione:

Lavorazione per la conservazione (deumidificazione ad alte o a basse temperature)
Pulizia manuale o con vagliatore
Abbattimento in congelatore a -18°C per almeno 48 h per eliminare la vitalità delle uova di tarma o altro insetto
Confezionamento, etichettatura e commercializzazione come polline secco, polline deumidificato fresco e polline fresco.

Il polline fresco non subisce alcun processo di deumidificazione e resta tal quale, mantenendo inalterate le proprietà organolettiche. Tuttavia, si altera più facilmente e va posta attenzione alla corretta conservazione in congelatore e al mantenimento della catena del freddo nella fase di commercializzazione. Uno scongelamento accidentale per poche ore non è comunque pericoloso per la salute del consumatore.

Il corso è stato partecipato e ricco di spunti. Tra gli approfondimenti richiesti al docente, i possibili effetti avversi del consumo di polline sui soggetti allergici: il polline in quanto veicolo di allergeni è un alimento da consigliare senz’altro con cautela ai soggetti allergici ed è possibile indicarlo in etichetta.

Tra le curiosità, la nuova moda di commercializzare il “pane d’api”, estratto tal quale dai favi con una macchina apposita. Il polline dentro le cellette del favo ha subito la fermentazione lattica e sarebbe più digeribile e più biologicamente attivo, anche se la necessità di estrarlo nel periodo autunnale in un momento delicato per l’alveare desta qualche perplessità.

a cura di: Simona Pappalardo

Foto: Michele Valleri

Il favo a maschio per la lettura della febbre sciamatoria

L’impiego del favo a maschio non rappresenta una tecnica di controllo della sciamatura bensì un metodo rapido e veloce per poter leggere i segnali che una famiglia in procinto di sciamare ci fornisce.
Introducendo un favo a maschio nell’alveare potrò ad ogni visita iniziare il controllo ispezionandolo e valutare se la colonia avrà bisogno di essere visitata integralmente o meno. In questo modo eviterò di arrecare un disturbo eccessivo alla colonia e guadagnerò del tempo per altre colonie che necessitano interventi.

La presenza di un favo a maschio spinge la colonia ad avere una covata più ordinata con la deposizione a fuco in un solo telaino e senza dover deformare gli altri favi femminili per la costruzione di covata maschile. Ciò renderà al contempo più difficile la formazione di celle reali che saranno prevalentemente collocate proprio sul favo a fuco.

Ci sono in commercio vari telaini a scomparti destinati all’allevamento di covata a fuco (in foto il modello di Aldo Baragatti), in alternativa se a primavera inserisco un telaino da melario o un telaino da nido, dal quale rimuoverò una metà del foglio cereo nella parte bassa compresi i fili, le api riempiranno gli spazi vuoti con un favo naturale per ospitare covata a fuco.

A primavera, quando le colonie iniziano l’accrescimento ed inizia ad entrare il primo nettare il favo a maschio viene collocato subito dopo il diaframma, in questo modo sarà il primo telaino ad essere visitato.
Una volta costruito dalle api ad ogni visita andrò a rimuoverne una porzione per vedere, quando tornerò in apiario, come la colonia avrà reagito a questa operazione.

Solitamente si verificano i seguenti casi:

  • Favo a maschio ricostruito con uova dentro le nuove celle: la regina depone normalmente e difficilmente sarà in febbre sciamatoria con cupolini o celle reali negli altri telaini. In apicoltura non ho mai la certezza assoluta ma solitamente con questa situazione non sarà necessario visitare la colonia per scellare.
  • Favo a maschio ricostruito con miele dentro le celle: in questo caso la regina è stata preceduta dalle operaie che hanno impiegato il favo a fuco per la collocazione di nettare fresco. Il motivo per questo comportamento è riconducibile a vari fattori che mi costringono a visitare gli altri telaini. È possibile che la regina non sia particolarmente performante o che l’apicoltore abbia allargato troppo il nido. In questi casi dovrò valutare la regina considerando che un individuo in salute depone più di 2000 uova al giorno riuscendo a mantenere coperti completamente 6 telaini. Alla luce di queste caratteristiche è ovvio che più tendo a lavorare su 9 o addirittura 10 telaini più la lettura del favo a fuco sarà meno precisa. Se ovviamente la presenza di miele nel favo a maschio è accompagnata da altri segnali che indicano la febbre sciamatoria dovrò prendere delle misure di intervento in tal senso.   
  • Favo non ricostruito: possibile allargamento eccesivo del nido in concomitanza con un calo di importazione o problemi sanitari. È ovvio che in questo caso si visita la famiglia per comprendere l’origine di tale situazione.
  • Favo a maschio con cupolini e/o celle reali: situazione di febbre sciamatoria in atto con conseguente diminuzione dell’attività di deposizione delle regine. Dovrò visitare il nido in cerca di altre celle e valutare se la sciamatura è reversibile o meno.

Se volete approfondire questa tematica ne parleremo online, in occasione di tecnici in diretta (LINK), mercoledì 17 aprile alle 21:00 

a cura di: Michele Valleri

Ultimi giorni per attivare la Polizza di mancata produzione

Rinnovata anche per la stagione 2024 la polizza per la mancata produzione del miele per andamento stagionale avverso, API-CARE, di Generali, tramite l’Agenzia Fidelis.

Se hai partecipato al convegno hai potuto ascoltare l’esperienza del 2023, anno di prima introduzione della polizza, e le prospettive per il 2024.  

Nel 2023, sono stati assicurati più di 300 apiari, per un totale di quasi 14.000 alveari, in quattro regioni italiane. A fronte di danni generalizzati su tutte le aziende assicurate, sono stati liquidati circa 1 Mln di euro di indennizzi. I soci Arpat che nel 2023 hanno stipulato la polizza hanno riportato una esperienza complessivamente positiva.

Generali ha confermato la possibilità di assicurarsi per il 2024, seppure con degli aggiustamenti che porteranno a condizioni meno favorevoli rispetto al 2023. Alcune novità potrebbero dipendere dal nuovo PGRA 2024 in uscita in questi giorni.

Se possiedi più di 50 alveari e sei interessato a sottoscrivere la polizza compila la scheda e inviala al responsabile Sig. Fabio Campoli  apicareagenziadiguastalla@gmail.com  e per conoscenza a info@arpat.info, per richiedere un preventivo di massima personalizzato per un primo orientamento sui costi. Nella mail ti preghiamo di segnalare se sei socio Conapi.


I tempi sono stretti ed è bene iniziare al più presto ad interloquire con l’agenzia. Ti suggeriamo quindi di inviare la richiesta il prima possibile, comunque non oltre venerdì 8 marzo.

Congresso AAPI 2024 – i temi trattati

Si è da poco concluso il convegno degli apicoltori professionisti Aapi che da 38 anni rappresenta un momento di formazione fondamentale per le aziende e tutto il settore apistico.
Ripercorriamo brevemente i tanti temi affrontati prima di parlarvene in maniera più approfondita nel prossimo incontro online con i tecnici mercoledì 21 febbraio.

Mercoledì 31 gennaio i lavori del giorno si sono incentrati sui progetti della rete di tecnici franco italica. Sono stati presentati i risultati del progetto Innov’api e i nuovi dati sugli studi condotti per Apin’verno. Importanti i dettagli emersi sul rapporto ape-virus-invernamento in relazione alle pratiche apistiche da effettuarsi durante la stagione fredda.
Altrettanto interessante il focus sull’impiego del pintest, strumento comparativo all’interno di un apiario o gruppo di alveari, per poter determinare l’efficacia del comportamento igienico di una colonia nei confronti di una covata compromessa.
Pin test che ha anticipato i lavori del pomeriggio su: ecologia e relazione ape-varroa e uno sguardo all’apicoltura internazionale con le esperienze di aziende apistiche di Angola e Australia.

La giornata del primo febbraio è stata dedicata a tematiche di politica apistica e ai rapporti tra associazioni di settore e politiche agricole comunitarie. Si è rilevata una giornata importante per comprendere come le nostre associazioni regionali, nazionali ed europee, beelife in primis, si muovono in ambito politico per intervenire sulle normative che influenzano il nostro settore. Data l’attuale situazione in cui verte il mercato del miele è stato richiesto un intervento per comprendere certe dinamiche che stanno pesantemente condizionando il nostro settore. Entreremo più in dettaglio sulle dinamiche di mercato nel prossimo “tecnici in diretta”.

Tra le misure da adottare per arginare questo mercato compromesso da adulterazioni è necessario disporre di laboratori e protocolli complessi ed una fitta rete di rilevazioni ed analisi per poter intervenire in maniera concreta. Solo dopo aver predisposto ciò sarà possibile ambire ad avere una normativa più cautelativa verso la produzione di miele di qualità. Appare ovvio come queste esigenze, purtroppo, non possono essere assolte prima di alcuni anni.
Unaapi si è spesa nel cercare di ottenere un sostegno per l’acquisto di nutrizione per le colonie necessaria durante i trattamenti acaricidi. A livello ministeriale pare ci siano buone possibilità che questo obbiettivo possa essere raggiunto sostenendo così l’apicoltore in un delicato momento di gestione degli alveari.
Altre iniziative mirate per la compensazione del mancato reddito mirano alla possibilità di stipulare polizze per tutelare la mancata produzione, nel corso del pomeriggio sono state raccontate le esperienze del primo anno.

La mattinata del terzo giorno è stata dedicata all’allevamento e selezione di api regine e alla normativa apistica.
L’apicoltore del Lussemburgo Paul Jungels ha riassunto i sui 40 anni di esperienze finalizzati alla selezione di api regine buckfast resistenti alla varroa. Il suo lavoro è stato possibile grazie alla cooperazione di tanti apicoltori che hanno creduto al progetto e lo hanno portato avanti fino ad ottenere api con elevata tendenza all’igienicità. Nel concreto alcune linee non necessitano più i 2 trattamenti acaricidi mantenendo comunque la produttività.
Anche in Italia esistono progetti di selezione altrettanto importanti come il progetto Sesamelc presentato dal presidente di Aissa Elio Bonfanti. Il progetto prevede la realizzazione nel territorio nazionale di zone di fecondazione controllata (ADA) negli areali di ligustica e carnica. In queste stazioni controllate gli apicoltori possono portare i propri nuclei di fecondazione per fecondare le regine con fuchi certificati e selezionati per genetica e morfometrica.
Nella seconda parte della mattinata si è parlato di normativa con particolare attenzione alle problematiche derivate del nuovo manuale operativo dell’anagrafe apistica. Il dott. Vanni Floris e Montemurro hanno sviscerato il lavoro di Unaapi per rivedere le modifiche apportate al nuovo manuale che a causa dell’aggravio di richieste impensabili sul lato pratico rischia di complicare infinitamente il lavoro degli apicoltori.
Successivamente Etienne Bruneau (in foto), vice presidente del gruppo miele del Copa-Cogeca si è focalizzato nell’analizzare le problematiche di produzione legate ai cambiamenti climatici, più volte abbiamo affrontato la questione durante i nostri incontri online e nel prossimo nostro appuntamento di febbraio riassumeremo i punti importanti di questo intervento.
Le altre probatiche di settore, e possibile strategie di resistenza, sono state riassunte da Francesco Panella nella successiva presentazione.
Per poter avere maggiore capacità di intervento per far fronte ai cambiamenti climatici Ravelli ha illustrato i primi dati di un sistema previsionale per la produzione del miele mentre gli ultimi argomenti della giornata hanno riguardato le tecniche apistiche impiegabili per far fronte alle problematiche emerse in precedenza grazie a: spunti di gestione del miele (spesso umido) e disposizione degli alveari dal punto di vista della coibentazione.

Ultimo giorno di congresso riservato alle prove di campo del CRT – Centro di Riferimento Tecnico per l’Apicoltura: Patologie Apistiche (CRTPAU). Da anni il CRT rappresenta un’importante occasione di confronto e di scambio, ma anche di coordinamento di quanti si occupano di sanità degli alveari all’interno delle organizzazioni Associate ad Unaapi. La varroa è tristemente la prima protagonista dei progetti della rete; ma non potevano mancare interventi riguardanti le nuove avversità che da alcuni anni il settore sta cercando di contrastare: Vaspa velutina e Aethina tumida. Proprio sulla Vespa velutina Arpat si sta organizzando con una fitta rete di monitoraggio in cui tutti i soci possono dare una mano.

Dal convegno Aapi – l’andamento produttivo del miele 2023

Ogni anno in estate l’associazione apicoltori professionisti italiani Aapi si dà appuntamento per fare il punto su varie questioni di interesse apistico, e stimare i primi bilanci produttivi di miele.

Prima del giro di tavolo sulle produzioni il convegno si è aperto con le testimonianze degli apicoltori dell’Emilia Romagna sulle gravi perdite di apiari conseguenti ai fenomeni alluvionali dello scorso maggio. Arpat era presente all’evento e, grazie anche alle rilevazioni comunicate dall’Osservatorio Nazionale Miele, ha raccolto un quadro esaustivo (e negativo) su questa stagione 2023 che sta per concludersi.

Vediamo in seguito le produzioni, fino al mese di luglio, suddivise per regione e tipologia di miele

Acacia

Nel nord Italia abbiamo avuto rari picchi di produzione in Piemonte e Lombardia dove si sono raggiunti rispettivamente i 10 e 8kg ad alveare. Tuttavia tali dati restano più un’eccezione che una regola in quanto la maggior parte delle aziende ha fatto registrare su tutte le regioni del nord medie vicine allo zero.

Non va meglio al centro Italia dove spesso si è prodotto un’acacia non rispondente per colore troppo scuro e quindi venduta come millefiori. Nel Lazio si sono misurati rari picchi produttivi sopra i 10kg ad alveare ma anche in questa regione, come in Toscana, la maggior parte delle aziende non sono riuscite a produrre miele di acacia.

Nel sud Italia è andata addirittura peggio con il poco miele prodotto spesso lasciato alle api e con picchi produttivi che in nessun caso arrivano a 5kg ad alveare.

In definitiva la produzione di miele di acacia 2023 è stata disastrosa al pari, se non peggio, del 2021. Le cause da ricondurre al mancato raccolto sono principalmente di carattere climatico: in primo luogo la siccità del 2022 ha mantenuto le piante in stress, poi la fioritura è stata danneggiata dalle gelate tardive di inizio aprile e infine il perdurare delle precipitazioni a maggio e giugno non hanno permesso la raccolta dei pochi fiori rimasti.  

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Agrumi

Importante monoflora del sud Italia, ha deluso le aspettative per cause climatiche analoghe a quanto accaduto per l’acacia. Le medie registrate vedono in Puglia le produzioni migliori con medie sopra il melario a seguire la Basilicata e il nord della Calabria con medie sui 10-12kg ad alveare; molto peggio nel resto delle regioni.

Sulla

La fioritura di sulla cade in concomitanza con quella dell’acacia ma rispetto a quest’ultima ha un periodo di fioritura più esteso con fiori più resistenti alle intemperie. Per queste ragioni le produzioni sono state migliori con punte di 20kg ad alveare in Toscana, anche se non sempre riconducibili ad un monoflora di sulla in purezza.

Nelle altre regioni registriamo produzioni eterogenee e altalenanti che, volendo estrapolare una media, si attestano a circa 10-15kg ad alveare.

Tiglio

La fioritura di tiglio di pianura si è verificata in seguito alla mancata produzione di acacia con colonie che spesso avevano una grave carenza di scorte. Per tali ragioni molte aziende hanno preferito lasciare il nettare di tiglio agli alveari o smielarlo in un secondo momento producendo millefiori grazie all’arrivo di altre fonti nettarifere. In Toscana, in particolare in provincia di Firenze, e in parte del Lazio si sono viste produzioni (comunque appena sufficienti) e spesso legate a situazioni eterogenee e interventi di nutrizione per tenere le colonie in forze.

Castagno

Il castagno negli areali vocati di tutta la nazione ha medie che oscillano intorno al melario anche se, dalle segnalazioni registrate, pare vi siano state rese maggiori in montagna soprattutto in Lombardia e Piemonte. Anche in Toscana le produzioni migliori si registrano in quota e spesso accompagnate da una buona produzione di polline.

Altri monoflora

A causa delle avverse condizioni climatiche la produzione di miele monoflora primaverile (erica, tarassaco, pero, colza, asfodelo) risulta molto scarsa.

Meglio nella seconda parte di stagione dove sono stati raccolti i seguenti monoflora:

Ailanto: nell’areale limitrofo a Roma 10 kg/alveare;

Cardo: in Sardegna con raccolti scarsi di circa 5-6 kg/alveare;

Coriandolo: registra produzioni molto eterogenee con buone rese solo in Molise mentre nelle altre regioni vocate si registrano i seguenti valori: Puglia medie dimezzate, Marche: 2-6 kg/alveare, Emilia Romagna: 3-8 kg/alveare.

Rododendro: buone produzioni 15-20 kg/alveare Piemonte, Lombardia, Trentino

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Millefiori

È stato prodotto del millefiori primaverile negli areali in cui i vari monoflora sono stati “declassati” a millefiori (vedi acacia e sulla), tuttavia le condizioni meteo non ne hanno favorito una buona raccolta.

Meglio le produzioni di millefiori estivo a partire dalla seconda metà del mese di giugno, dove è stato possibile ottenere discreti raccolti in alcune zone del Centro e del Sud specialmente su piante erbacee il cui sviluppo è stato favorito dalle piogge dei mesi precedenti. La Maremma, ad esempio, ha complessivamente beneficiato delle numerose precipitazioni per le produzioni di millefiori a prevalenza di trifoglio.

Bene anche le produzioni di Millefiori Alta Montagna delle Alpi grazie alle alte temperature: 28-15kg/alveare in Trentino, 13 kg/alveare in Friuli, 25 kg/alveare in Piemonte.

Conclusioni

Senza i nettari primaverili, ed in particolare l’acacia, la stagione 2023 non può che risultare negativa.

Sebbene in estate le condizioni climatiche non siano risultate avverse, buona parte delle colonie non sono state in gradi di sfruttare appieno le fioriture e quindi, anche nella seconda parte di stagione le medie produttive non risultano soddisfacenti.

Purtroppo questo 2023 risulta molto simile al 2021 anno ricordato come il peggiore degli ultimi 50 anni… è forse questa la normalità a cui saremo costretti ad abituarci?